Indice glicemico, carico glicemico e indice insulinico

Indice glicemico

Il ruolo dei carboidrati, è spesso chiamato in causa a fronte dell’aumento del sovrappeso e dell’obesità in Europa, e lo zucchero è diventato l’indiziato numero uno per l’epidemia di malattie cardiovascolari, del diabete e di alcuni tipi di cancro.
Questo può essere comprensibile perché i carboidrati contenuti nei cibi hanno la capacità di innalzare il glucosio nel sangue. L’assunzione di cibi ricchi di zucchero, quindi, provoca la secrezione di insulina, ormone che ne promuove l’abbassamento, ma poiché le cellule non riescono a smaltire tutti gli zuccheri, si attiva il metabolismo dei grassi e si producono le adiposità.

Tuttavia, i carboidrati nella dieta non sono tutti uguali, anche a parità di calorie: esistono tipi di zuccheri più salutari e altri che rischiano di essere dannosi per la salute. Quindi, se volete iniziare a prendervi cura della vostra alimentazione, non basta calcolare il contenuto calorico di un alimento, che rende conto solo in modo parziale di come il cibo influenzi il bilancio energetico, ma è fondamentale considerare altri aspetti. Primo fra tutti i fattori è la capacità del pasto di far aumentare rapidamente i livelli di glucosio nel sangue. Questa capacità è espressa in due termini: l’indice glicemico (IG), che in pratica indica la velocità con cui i carboidrati in un dato cibo sono assorbiti, e il carico glicemico (CG), che tiene conto anche della quantità effettiva di carboidrati racchiusi nella porzione dell’alimento.

Per quantificare l’IG di un alimento è necessario assumere un quantitativo dell’alimento in questione  contenente 50 g di carboidrati e monitorare i livelli glicemici nelle due ore seguenti. Tali valori dovranno poi essere confrontati con quelli dello standard di riferimento che può essere il glucosio o il pane bianco (indice glicemico=100). E’ per questa ragione che vi sono tabelle con indici differenti per uno stesso alimento. In molte tabelle che si trovano nella letteratura scientifica, soprattutto italiana, l’alimento di riferimento non è il glucosio, ma il pane bianco. Per calcolare l’IG italiano basta moltiplicare per 1,37 quello riferito al glucosio, che è invece lo standard internazionale.

L’IG è un indicatore di quanto velocemente il carboidrato in questione viene demolito, smontato negli zuccheri semplici di cui è composto, assorbito e immesso nella circolazione sanguigna sotto forma di glucosio per essere disponibile come fonte energetica a disposizione delle cellule.

Consumando cibi ad alto IG la trasformazione dello zucchero in grassi tende ad aumentare (sovrappeso); aumentano lo stress ossidativo (invecchiamento precoce, rischio oncologico) e l’infiammazione spesso non percepita (infiammazione silente). Inoltre dopo 2-4 ore la glicemia scende e torna la fame; nel tempo si crea un sovraccarico di lavoro per il pancreas che causa insulinoresistenza e, successivamente, subentra la comparsa del diabete.

Alimenti con basso IG invece provocano un aumento di glucosio più tardivo, piuttosto costante, per un periodo prolungato e si viene a creare la cosiddetta “calma insulinica”, una condizione da ricercare sia per il dimagrimento che per la salute, permettendo di evitare la sensazione di fame poche ore dopo il pasto.

Fin qui tutto sembra facile e lineare, ma l’IG di un alimento, è influenzato da numerosi fattori, non solo dalla presenza di amidi e zuccheri, ma anche dalla loro composizione chimica, dalla struttura delle molecole, dalla loro reazione al calore, dalle caratteristiche fisico-chimiche; l’IG di un cibo viene influenzato anche dalla composizione del pasto.

Diversi fattori sono all’origine di questa variazione di digeribilità degli amidi, la cui ampiezza è misurata dall’IG.

Composizione dell’amido:

il granulo di amido è costituito da due componenti molecolari, una lineare, chiamata amilosio e una ramificata chiamata amilopectina. L’IG di un alimento amilaceo è funzione del rapporto amilosio-amilopectina. La digeribilità aumenta notevolmente in seguito alla cottura dell’alimento: sottoposto a un riscaldamento eccessivo dell’acqua, la struttura dell’amido si modifica. I granuli di amido, idratandosi progressivamente, si gonfiano e una frazione di amilopectina passa nella soluzione poi, se il riscaldamento si prolunga, passa nella soluzione anche una frazione di amilosio. È il fenomeno della gelatinizzazione dell’amido. Proprio questa trasformazione è responsabile, ad esempio, della risalita degli gnocchi a cottura ultimata.
Al contrario, il raffreddamento degli alimenti amidacei permette una riorganizzazione delle molecole di amido in essi contenute (il che spiega, per esempio, la minore digeribilità del pane raffermo rispetto a quello fresco). In seguito a questa ricristallizzazione si formano dei granuli di amido resistente, indigeribili e per questo paragonabili a fibre alimentari (la pasta fredda ha un IG inferiore rispetto a quella appena cotta e lo stesso discorso vale per le patate). Più la proporzione di amilosio è bassa, maggiore è la gelatinizzazione, e viceversa. Più un amido si gelatinizza, più è facilmente attaccabile dagli enzimi digestivi, maggiore è la sua propensione a trasformarsi in glucosio e più la glicemia ha, ovviamente, tendenza ad aumentare.
Quindi, se un amido contiene una piccola percentuale di amilosio, il suo IG sarà più alto.
Al contrario, con una maggiore presenza di amilosio la gelatinizzazione sarà inferiore, così come la trasformazione in glucosio, e l’IG sarà più basso.
In virtù del fatto che l’idratazione e il calore aumentano l’IG di un alimento, la carota, per esempio, ha un IG pari a 20 quando è cruda, ma non appena la si fa bollire in acqua, il suo IG sale a 50, per via della gelatinizzazione del suo amido.
Anche alcuni processi industriali possono aumentare al massimo la gelatinizzazione. Ciò accade per esempio nella produzione dei fiocchi (purè di patate istantanea) o dei cornflakes, ma anche dei leganti, quali gli amidi modificati. Queste operazioni portano, dunque, ad aumentare notevolmente l’IG (85 per i cornflakes, 95 per il purè in fiocchi, 100 per gli amidi modificati). Allo stesso modo l’esplosione del chicco di mais, per la produzione di pop-corn, o del chicco di riso per la produzione di riso soffiato, aumenta del 15- 20% l’IG originario.

Macinatura:

la macinatura dei cereali riduce la dimensione delle particelle e facilita l’assorbimento dell’acqua e l’attacco degli enzimi digestivi. Ecco perché i cereali macinati molto finemente tendono ad avere un IG più alto. La macinazione a pietra produce farine più grosse che contengono tutto il chicco nelle sue proporzioni originali, sono digeriti e assorbiti più lentamente e hanno un IG più basso.

Fibre:

le fibre contenute negli alimenti a base di carboidrati, oppure nei cibi che li accompagnano durante i pasti, possono abbassare l’IG dell’alimento o del pasto. Devono, tuttavia, essere fibre solubili che hanno mantenuto la loro viscosità e che rallentano l’assorbimento di glucosio a livello intestinale. Le fibre macinate troppo finemente non riescono a farlo, quindi il pane o la pasta di farina integrale macinata fine non abbassa la risposta del glucosio ematico, ma avrà un IG simile a quello della farina bianca.
Il prof. David J. A. Jenkins (Professore del Canada Research Chair in Nutrition and Metabolism dell’Università di Toronto), descrive come situazione alimentare metabolicamente peggiore quella costituita da assunzione di cibi con alto IG in assenza di fibra.
Troviamo la fibra solubile in frutta, verdura, legumi, crusca d’avena e in alcune erbe particolari (come lo Psyllium).  Per questo è consigliabile aprire il pasto con verdure di stagione, meglio se crude, che apportano una buona quantità di fibra che ne abbassa l’IG.

Proteine e grassi:

le proteine e i grassi abbassano l’IG (ottima la scelta di un piatto unico che unisca cereali e legumi: pasta e fagioli, riso e lenticchie, orzo e ceci…). I legumi oltre alla fibra solubile che abbassa l’impatto glicemico, contengono anche proteine vegetali non associate a colesterolo e grassi saturi e mantengono la sazietà molto a lungo. Un velo leggero di formaggio magro spalmabile su una fetta di pane (meglio se integrale) abbassa di molto l’IG, così come un po’ di parmigiano sulla pasta: l’importante è non esagerare.

Acidità:

le sostanze a contenuto acido aggiunte ai carboidrati, hanno la capacità di rallentare lo svuotamento gastrico del cibo digerito, ritardando l’arrivo nell’intestino e il rilascio di glucosio nel sangue. Alcuni studi hanno indicato che l’aggiunta di condimenti a base di aceto o succo di limone aiutano ad abbassare la glicemia. Sembra particolarmente efficace il succo di limone. L’acidità influisce anche sull’IG della frutta che può avere un IG relativamente basso se caratterizzata da acidità pur contenendo un’elevata quantità di zuccheri (come gli agrumi, per esempio).

Tuttavia, l’IG di un alimento dipende anche da numerose altre variabili, oltre che dalla composizione e dalla struttura fisico-chimica

  1. varietà dell’alimento: le diverse varietà di un frutto o un ortaggio hanno un diverso IG
  2. grado di maturazione: maggiore è la maturazione di un frutto, maggiore è l’IG
  3. rapporto tra diversi carboidrati: il diverso rapporto tra glucidi (carboidrati), contenuti in un alimento determina un diverso IG(come il rapporto glucosio/fruttosio per il miele)
  4. zona di coltivazione: la diversa provenienza e il diverso clima causano una variazione dell’IG
  5. stato di maturazione: un frutto acerbo ha unIG inferiore rispetto a un frutto molto maturo
  6. eventuale raffinazione: i cibi glucidici raffinati, come i farinacei nel caso del grano, o di altri cereali, hanno unIG più alto
  7. modalità di produzione degli alimenti: se sono “industriali” oppure artigianali
  8. preparazione, conservazione o essiccazione: la pastificazione del grano duro (processo tecnico naturale che tende a ritardare l’idratazione dell’amido, creando una specie di pellicola che ritarda la gelatinizzazione, come avviene per gli spaghetti e in genere per la pasta cruda), riduce l’IG. Partendo da una stessa farina si può dunque arrivare a ottenere prodotti con IGmolto diversi (ravioli 70, spaghetti 40)
  9. metodo di cottura e temperatura: le patate bollite, ad esempio, hanno un IGdi 70, cotte al microonde l’IG sale a 117, se fredde l’IG si abbassa ulteriormente
  10. durata del tempo di cottura: la pasta al dente poco cotta, ad esempio, ha un IGinferiore rispetto alla pasta molto cotta
  11. insieme di tutti gli ingredienti che compongono gli alimenti più complessi: la pasta in bianco ha un IGsuperiore rispetto alla pasta al pomodoro
  12. pasti precedenti e orari: l’impatto glicemico di un pasto glucidico varia in base agli orari e alla composizione dei pasti precedenti.

L’IG degli alimenti, oltre al problema delle molteplici variabili che lo influenzano, a volte può essere un parametro fuorviante, come, ad esempio, il caso della carota, che pur avendo un IG alto, ha soltanto 9,5 g di zuccheri per 100 g, quindi, un quantitativo modesto.

Visto, tuttavia, che i suoi zuccheri sono a rapido assorbimento, viene indicata tra gli alimenti ad alto IG perché per 50 g dei suoi carboidrati, la glicemia è influenzata in modo evidente, ma per 50 g dei sui zuccheri non per 50 g di carota. Lo stesso discorso fatto per la carota vale anche per altri alimenti che hanno un IG elevato ma una bassa densità di carboidrati: papaia, melone, barbabietola, zucca, anguria, rapa, sedano rapa.

Basare le proprie scelte alimentari sul solo IG, non ha quindi alcun senso. Ogni confronto tra alimenti ha senso solo se la differenza tra gli indici glicemici è netta.

Diventa, perciò, inutile dare eccessiva importanza all’IG.

Attenzione! Questo non significa che una fonte di carboidrati vale l’altra, ma che è assurdo ragionare su differenze minime o impostare un intero modello alimentare sull’IG.
In parole povere, discriminare tra riso, pasta e patate non ha molto senso a parità di quantità, ha senso invece discriminare tra pasta e pasta integrale, o tra ciliegie e banana matura.

Carico glicemico

E’ così subentrato il concetto di carico glicemico (CG), che non tiene conto solo dell’IG, ma anche della densità dei carboidrati. Quanto più un cibo è densamente costituito da carboidrati, tanto più è elevata la risposta glicemica e la conseguente messa in circolo dell’insulina. Le ricerche scientifiche, del resto, hanno evidenziato che, per mantenere un ottimale livello di glicemia post-prandiale, non è sufficiente prendere in considerazione il solo IG, ma anche la quantità complessiva dei carboidrati assunti. Il CG si ottiene moltiplicando la quantità di carboidrati presente in un alimento per il suo IG e dividendo poi per 100:
carico glicemico = (Indice glicemico x g carboidrati) / 100 

In questo modo, si definisce la quantità e non solo la qualità dell’alimento e, di conseguenza, dei carboidrati da assumere in un pasto. Quindi, alimenti ad alto IG possono avere un CG relativamente basso se il loro contenuto di carboidrati è trascurabile.

L’IG caratterizza l’assorbimento nel tratto gastrointestinale con una risposta metabolica ed endocrina differente a seconda del CG (ad esempio, la pasta è migliore del pane bianco e anche del pane integrale).

Scala di valori dell’indice glicemico degli alimenti

Fino a 35 l’IG è considerato BASSO.
Da 36 a 50 l’IG è considerato MEDIO-BASSO.
Da 51 a 60 in su l’IG è considerato MEDIO-ALTO.
Superiore a 60 l’IG è considerato ALTO.

L’IG di un pasto invece, è dato dalla media ponderata dell’IG di tutti i suoi componenti che contengono carboidrati, anche se il calcolo sarebbe più complesso perché l’IG di un pasto scende se si aggiungono grassi o proteine all’alimento o al pasto.

Certamente non è il caso di impazzire con i calcoli e con la memorizzazione degli indici, ma più semplicemente considerare solo gli alimenti con un elevato contenuto di carboidrati e ricordare per questi alimenti la “fascia di appartenenza” (IG basso, medio, alto).
Le tabelle degli IG sono lunghissime e a volte generano confusione, quindi riteniamo sia più pratico un elenco degli alimenti di uso comune a basso, medio ed alto IG che tenga conto anche del CG dell’alimento.

Alimenti ad alto IG

  • Glucosio, birra, sciroppo di mais, sciroppo di riso, sciroppo di frumento, sciroppo di glucosio,zuccherobianco, o di canna o integrale, miele, bibite zuccherate, succhi di frutta
  • Farina di riso, latte di riso, fecola di patate, patate, patate in fiocchi, patate al forno, patate fritte, purè di patate, gnocchipop corn, riso soffiato
  • Pane per hamburger, pane in cassetta, amido di mais, tapioca, pasta o riso bianchipolenta, gallette di riso, crackers con farina bianca, cous cous, pizza
  • Tutti i dolci: brioche, wafer, torte, biscotti, marmellate, cioccolato al latte e bianco, caramelle, cereali da prima colazione
  • Tra la frutta: banane mature, papaya, frutta disidratata o essiccata

Alimenti a medio IG

  • Farroorzo perlato, kamut, avena, grano saraceno integrale, segale, farina integrale, lasagne di grano duro, pasta e riso integrali, cous cous integrale, riso basmati, spaghetti, riso rosso
    • Pane di segale, pane di avena, Wasa light, All Brain, porridge (pappa di avena), fiocchi di avena senza zucchero, pane azzimo con farina integrale, pane 100% integrale con lievito madre, purè di sesamo (tahin)
    • Tra le verdure: sedano rapa cotto, carote cottezucca cottabarbabietola e topinambur
    • Tra la frutta: kiwi, cachi, mango, banana acerba, uvaananas fresco, cocco, castagne

Alimenti a basso IG

  • Amaranto, quinoa, orzo mondato, riso selvatico, vermicelli di grano duro
    • Pane esseno (di cereali germogliati), crusca di grano o di avena
    • Legumi: fave, fagioli, piselli, lenticchie, soia, ceci, lupino, pistacchi, farina di ceci
    • Tutte le verdure
    • Quasi tutta la frutta, noce di cocco, avocado
    • Frutta secca: noci, mandorle, nocciole, pinoli, semi oleosi
    • Cioccolato fondente > 70% di cacao

Per il CG, i valori bassi sono quelli inferiori a 10, mentre oltre i 20 si parla di porzioni con elevato CG, quindi

Rispetto alla singola porzione
basso: 0 – 10
medio: 11 – 19
alto: > 20
Rispetto alla dieta giornaliera
basso: < 80
medio: 81 – 119
alto: > 120

Quali vantaggi per la linea e la salute?

  •  I cibi a basso IG restano nell’apparato digerente più a lungo, prolungando la sensazione di sazietà, tenendo sotto controllo l’appetito.
    •  La riduzione dell’ insulina (ormone secreto dal pancreas che facilita il passaggio del glucosio dal sangue alle cellule abbassando la glicemia), stimola il consumo di grassi per produrre energia, invece di depositare il glucosio nel tessuto adiposo.
    •  Gli alimenti a basso IG tendono a produrre un minore apporto di calorie rispetto a quelli ad alto IG e questo va a vantaggio del dimagrimento.
    •  Gli alimenti a basso IG aiutano a evitare danni alle arterie e alla circolazione, migliorano i livelli di colesterolo e diminuisce così il rischio di malattie cardiovascolari.
    •  Inoltre il controllo della glicemia attraverso l’alimentazione previene il rischio di diabete di tipo 2, da insulinoresistenza.

Indice insulinico

In tempi relativamente più recenti, quando ci sembrava quasi chiara la faccenda dell’IG e del CG, ecco che a complicare le cose gli studiosi hanno introdotto l’indice insulinico (II). L’II permette di valutare se un qualsiasi alimento, non necessariamente un carboidrato, sia in grado di provocare una risposta insulinica bassa, elevata o moderata. Esso, quindi, rappresenta l’effetto di un alimento esclusivamente e direttamente sull’insulinemia, e non sulla glicemia, permettendo una valutazione più precisa della risposta insulinica.
Al contrario dell’IG, l’II è una misura che tiene conto dei macronutrienti in termini calorici, e non in termini di quantità in grammi. Nel caso dell’IG era possibile guardare al peso del macronutriente perché esso tiene conto solo dei glucidi, che hanno tutti la stessa valenza calorica (4 kcal/1 gr), pertanto l’IG dei cibi glucidici era stabilito su un contenuto di carboidrati di 50 grammi (che comunque equivalgono a 200 kcal). Visto che l’II deve tenere conto del totale dei macronutrienti e non solo dei glucidi, per avere valore come indice, che in quanto tale deve dare un riferimento assoluto, si rende necessario valutarli sotto il profilo calorico piuttosto che in grammi. Questo per due motivi: 1) i macronutrienti hanno generalmente una diversa valenza calorica (4 kcal/1 g di protidi e glucidi; 9 kcal/1 g di lipidi); 2) i vari cibi hanno una diversa proporzione di macronutrienti.

Per dare quindi un riferimento assoluto e poterli valutare sullo stesso piano, è stata scelta come riferimento una porzione isocalorica standard di 1000 kj, equivalenti di 239 kcal. Ciò significa che l’II dei cibi è stabilito sulla base di un’assunzione calorica di un cibo pari a 239 kcal, al quale si attribuisce poi il relativo punteggio medio.

Quello che emerge da questi studi  e che potrebbe rivoluzionare tutte le attuali teorie  è che anche gli alimenti che non contengono carboidrati possono alterare l’insulina senza variare la glicemia. Effettivamente l’impatto dei macronutrienti sull’insulinemia è, del 90-100% per i carboidrati, del 50% per le proteine e del 10% per i grassi, e ciò conferma che non sono solo i carboidrati ad incidere sulla produzione insulinica, ma anche proteine in maniera più moderata, e grassi in maniera molto blanda, cosa che l’IG non considera.
Proteine (o amminoacidi) e grassi, infatti, causano un aumento della produzione di insulina nonostante allunghino i tempi di assimilazione dei carboidrati e riducano i livelli glicemici. Cibi proteici dal contenuto assente di carboidrati, e quindi ad IG equivalente a 0, come la carne o il pesce, riescono a stimolare significativamente l’insulina, nonostante non causino iperglicemia. Particolare attenzione meritano latte e derivati, che pur contenendo modeste quantità di carboidrati, causano una produzione di insulina altissima. Quindi, a parità di CG fornito da una stessa fonte glucidica, un pasto misto influisce su un’incrementata produzione di insulina, rispetto ad un CG identico se assunto da solo. La combinazione di un alimento o di un pasto influenzano in modo determinante la produzione dell’ormone.

Questi meccanismi non sono stati ancora del tutto chiariti anche se si inizia a comprendere come alcuni nutrienti possano influenzare la secrezione di insulina. Parlando di proteine è possibile valutare l’II considerandone la composizione aminoacidica, in quanto sembra che i singoli aminoacidi siano responsabili in diversa misura, in particolare arginina, leucina, lisina  e valina che, per questo, vengono definiti aminoacidi insulinogenici. Ciò contribuirebbe a spiegare come il latte e i suoi derivati (in particolare la frazione del siero) possano avere un elevato II (da 3 a 6 volte superiore rispetto al relativo IG), pur avendo un ridotto IG.
Per non lasciarci scoraggiare da questa recente scoperta che si abbatte come una tegola sulle nostre scelte alimentari, che pensavamo corrette e oculate e che, invece, risultano quasi prive di fondamento, è interessante analizzare le conclusioni di uno studio del 1997 di Susanne HA Holt, Janette C. Brand Miller, and Peter Petocz, pubblicato sull’American Journal of Clinical Nutrition; i tre ricercatori hanno infatti osservato che l’IG e l’II della stragrande maggioranza degli alimenti sono fortemente correlati, ma che esistono alcuni cibi, quelli ad alto contenuto proteico (per esempio, la carne, i formaggi magri, lo yogurt e il pesce) e quelli ricchi di grassi e carboidrati raffinati (prodotti di pasticceria, dolci, ecc.), che stimolano una risposta insulinica sproporzionatamente superiore alla loro risposta glicemica, ossia: ad un elevato II non corrisponde un elevato IG. E’ comunque importante considerare i quantitativi, infatti, lo stimolo ormonale è direttamente proporzionale alla grammatura dell’alimento assunto e contemporaneamente alla sensibilità del singolo.

Per ciò che riguarda l’analisi dell’IG una strategia era quella di unire a cibi con valori elevati altri con valori di IG più bassi, il risultato era di ottenere un indice medio.
Se si analizza questa possibilità alla luce dell’II potrebbe verificarsi che, unendo a dei cibi con IG alto (solitamente a base di carboidrati) dei cibi proteici che abbiano un II elevato, ecco che l’effetto sullo sbalzo di questo ormone sarà elevatissimo, una parte stimolato di conseguenza allo sbalzo della glicemia e una parte dovuto direttamente all’azione del cibo proteico, ma insulino-stimolante.

A questo punto è necessario fare una considerazione in difesa delle proteine: anche in presenza di un livello di insulina relativamente alto provocato dall’assunzione di sole fonti proteiche, l’insulina ha un importante effetto anabolico promuovendo la deposizione di aminoacidi a livello muscolare. Inoltre, molti aminoacidi, non stimolano solo l’insulina, ma hanno anche un’azione a favore del GH e potenzialmente anche del glucagone, quindi, ormoni che contrastano il deposito nei tessuti adiposi (che invece viene favorito dall’insulina).

Possiamo quindi affermare che il famoso “pasto misto” non è garanzia di modulazione della risposta glicemica in quanto è possibile un rilascio insulinico indipendente dal semplice contenuto glicidico del pasto, inoltre, preparazioni industriali composte da numerosi nutrienti, ricche di glicidi, acidi grassi idrogenati e derivati del siero del latte possano evocare una risposta insulinica sproporzionata rispetto a quanto potremmo aspettarci dall’esame dell’IG. Infatti, tra i cibi che più innalzano l’insulina spiccano i prodotti di pasticceria, i croissant, i biscotti, le merendine, le barrette dolci, i gelati, il pane bianco e le proteine animali. In questi casi, considerare l’IG e il CG non è predittivo della conseguente produzione dell’ormone, che risulterà in ogni caso maggiore.

Frutta e cereali integrali rivelano bassa reazione insulinica

Questo studio metterebbe in discussione quelle diete a basso CG che limitano eccessivamente i carboidrati lasciando spazio a quantità massicce di proteine animali. In questo modo andiamo a peggiorare le cose, da una parte cerchiamo di controllare strettamente la glicemia, dall’altra andiamo ad innalzare inutilmente l’insulina.

Riassumendo:

Alla domanda “ma allora come devo mangiare”, la risposta è:

  •  Non eliminare i carboidrati, ma sceglierli con criterio: sostituire dolci, pane lavorato e cracker con cerali integrali(hanno rivelato bassa reazione insulinica), riso integrale, pasta di grano duro integrale, pane casareccio scuro, cioccolato extrafondente. Per la colazione preferire fiocchi di avena o cereali integrali senza zuccheri aggiunti.
    •  Aprire  il pasto con un piatto di verdure di stagione, meglio se crude: apportano una buona quantità di fibra che abbassa l’IGdel pasto.
    •  Combinare la pasta con grassi “buoni” (es. pesce, olio extravergine di oliva): rallentano e riducono l’assorbimento degli zuccheri senza alcun effetto sulla liberazione di insulina; se si aggiungono verdure, le fibre aiutano ad abbassare la glicemia.
    •  Se il pasto è misto, ridurre la porzione di pasta e aggiungere proteine magre, meglio se vegetali come quelle dei legumi che apportano fibra solubile che abbassa l’impatto glicemico, ma contengono anche proteine vegetali non associate a colesterolo e grassi saturi. Anche le proteine della frutta secca e dei semi oleosi sono un ottima fonte proteica da inserire nei pasti.
    •  Pasta al dente e frutta non troppo matura.
    •  Il cibo va valutato non solo in base all’IG ma anche nel complesso dei suoi valori nutrizionali, a volte un cibo a basso IG ha un elevato contenuto di grassi; l’ideale sarebbe dunque abbinare ad ogni pasto una piccola quota di carboidrati e la giusta quantità di proteine e grassi.

Nessuna rinuncia, ma alimentazione consapevole per sfruttare al meglio il potere benefico degli alimenti.

 

BIBLIOGRAFIA:

http://www.dietabit.it/alimentazione/indiceglicemico/
http://www.my-personaltrainer.it/nutrizione/carico-glicemico.html
http://www.riza.it/public/indice_glicemico.pdf
http://valdovaccaro.blogspot.it/2013/02/batosta-storica-per-linsulinismo.html
http://it.wikipedia.org/wiki/Indice_glicemico
http://wiki.verkata.com/it/wiki/Indice_glicemico
Farnetti S, Malandrino N, Luciani D, Gasbarrini G, Capristo E. Food fried in extra-virgin olive oil improves postprandial insulin response in obese, insulin-resistant women.J Med Food. 2011 Mar;14(3):316-21. Epub 2010 Dec 13.

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